(dal sito www.snamid.org)
È nota l'associazione fra aumentati livelli di omocisteinemia e incrementato rischio di eventi cardiovascolari. Non è invece ancora chiarito se la riduzione dell'iperomocisteinemia indotta da un supplemento vitaminico rappresenti un fattore influente sulla riduzione del rischio.
Un RCT in doppio cieco condotto dal gruppo SEARCH (Study of the Effectiveness of Additional Reductions in Cholesterol and Homocysteine) pubblicato sul numero del 23 Giugno di JAMA si è posto l'obiettivo di valutare gli effetti della riduzione dei livelli di omocisteinemia mediata dall'utilizzo di acido folico e vitamina B12 sugli outcomes vascolari e non.
Sono stati reclutati 12.064 sopravissuti a un infarto miocardico negli ospedali secondari di cura del Regno Unito tra il 1998 e il 2008 ed è stata valutata la successiva comparsa di un primo grande evento vascolare, definito come principale evento coronarico (morte coronarica, infarto miocardico o rivascolarizzazione coronarica), ictus fatale o non fatale e rivascolarizzazione non coronarica, nel gruppo trattato con 2 mg di acido folico + 1 mg di vitamina B12 al giorno vs il gruppo placebo.
Il trattamento ha determinato una significativa riduzione dei livelli di omocisteina (3,8 micromol/L, pari a - 28% rispetto al basale, nei 6,7 anni di follow-up).
Nonostante ciò il successivo primo grande evento cv si è verificato in modo del tutto similare nei due gruppi: 25,5% in quello dei trattati vs il 24,8% del gruppo placebo (RR 1,04; 95% CI, 0,97-1,12, p = 0,28). Anche gli eventi coronarici maggiori hanno avuto il medesimo andamento: 20,4% nel gruppo che aveva assunto il supplemento vitaminico vs il 19,6% di quelli che non erano stati trattati (RR 1,05; 95% CI, 0,97-1,13).
Del tutto sovrapponibile anche l'andamento di comparsa dell'ictus (4,5% vs il 4,4%; RR 1,02; 95% CI, 0,86-1,21) e della necessità di rivascolarizzazioni non coronariche (3,0% vs 2,5%; RR 1,18; 95% CI, 0,95-1,46). Nessuna differenza anche per le morti attribuibili a cause vascolari (6,7% vs 6,5%) e non (6,7% vs 6,5%). Anche l'incidenza di nuovi cancri non è stata diversa (11,2% vs 10,6%).
Si può quindi concludere che quanto riportato da alcuni studi osservazionali che avevano lasciato intendere un ruolo causale dell'iperomocisteinemia nel determinismo di un aumentato rischio cv non risponda al vero, considerando che la sua riduzione non si accompagna a una corrispettiva riduzione degli eventi. È verosimile che vi sia un "altro" fattore in grado di determinare insieme sia l'incremento della omocisteinemia che del rischio cv. Di conseguenza l'abbassamento degli elevati livelli di omocisteinemia non dovrebbe più essere al centro della nostra attenzione (ndr).
JAMA 2010;303(24):2486-2494.