13 giugno 2014
Non solo nella piattaforma Sisac di convenzione non c’è una riga sul futuro dei medici del 118, ma c’è il rischio che questa categoria di convenzionati in attesa di un possibile sbocco alla dipendenza sia sempre più risucchiata nel privato e verso un futuro di precarietà. A lanciare l’allarme è il settore emergenza dello Snami, 800 medici alleati ai medici di famiglia nel rivendicare stabilità lavorativa e guidati da Vito D’Angelo. «La bozza Sisac elaborata dalla conferenza stato-regioni non parla di noi. Snami ha chiesto se è una dimenticanza ma la controparte tergiversa. Noi lottiamo per non stare fuori, e sarebbe auspicabile un’alleanza con gli altri sindacati per far sentire la nostra voce unita. Se la partita non si regola ora» afferma D’Angelo «il futuro rischia di essere incerto per 2 mila medici convenzionati del 118, per i quali la convenzione tra l’altro si pone come passaggio verso la dipendenza». I medici dell’emergenza lavorano nelle ambulanze ma anche nei pronti soccorso dove operano a livello italiano oltre 1000 dipendenti. Il transito alla dipendenza è previsto dalla Riforma Bindi e da una serie di decreti successivi per i medici con 5 anni o più di convenzione alle spalle. «L’ultimo decreto è scaduto e molte regioni come la Sicilia, il Piemonte, la Puglia, una parte dell’Emilia Romagna, continuano a utilizzare la formula del convenzionamento di liberi professionisti». C’è poi una fetta di precariato, da quantificare, che lavora a gettone pagata da Onlus, o dalle Misericordie. «Nell’attuale incertezza normativa c’è il rischio che la categoria abbia un futuro solo nel privato» dice D’Angelo «e che una situazione già spezzettata dai diversi comportamenti delle regioni sia frammentata anche a livello di requisiti formativi e modelli d’intervento». Nel Lazio si dibatte sulla necessità di dotare i megastore di punti di pronto soccorso da far allestire ai proprietari o agli affittuari: «Capisco la necessità di avvicinare il punto di soccorso al centro commerciale per evitare tragici incidenti» dice D’Angelo «ma a Roma e nel Lazio il problema sta a monte: c’è un’ambulanza medicalizzata ogni 150 mila abitanti quando lo standard europeo è uno a 60 mila e in città affollate e zone impervie andrebbe ridotto da 1 a 40 mila, cioè ci vorrebbero più mezzi attrezzati. Se prima non si investe, poi, quando ci sono problemi, si rischia di prendere decisioni più sull’onda emotiva che ragionando a fondo».