"Dal sacro Monte Kailash, nel Transhimalaya, oltre la linea delle piogge, discesi all'estremo del Capo Comorin, dove le acque di tre antichi mari si congiungono. Ed oggi so che in ambo gli estremi vi sono templi". (Miguel Serrano)

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domenica 29 agosto 2010

Il monumento (di Federico Salvatore)


"In fondo lo storico risponde sempre a delle domande...
e queste domande nascono dalle passioni che urgono nel suo petto"
(Benedetto Croce)



Ed avevo una terra sul mare una zappa ed una lenza,
il battesimo non mi servì, mi chiamavo "obbedienza",
la mia sola risposta era sì, sissignore padrone eccellenza,
il mio unico santo nel cielo "santa pazienza",
e quel pezzo di pane che mi dava il padrone,
normanno, tedesco, francese, spagnolo e borbone,
lo condivo con quattro fagioli, con un mezzo bicchiere di vino,
e dormivo con undici figli e mia moglie vicino.
Ma quel conte, ragioniere a Torino,
mi disse un giorno ti presento Peppino,
se ti vuoi riscattare davvero è arrivato il momento,
di passare alla storia col risorgimento.
Il monumento, il monumento, a Garibaldi, per l'Unità.
E cosi spalancai ogni porta e cancello,
al fratello d'Italia con le piume al cappello,
ed il fratello divenne il mio boia,
ogni donna di casa una troia,
per la legge che spoglia Gesù per vestire i Savoia.
E io figlio del Sud fui chiamato Brigante,
e nessun Robin Hood mi salvò le mutande,
e baciato solo dal vento, dal vapore di un bastimento,
Mamma America mi asciugò le ferite ed il pianto.
E dalla padella del padre padrone
finii nella brace di Don Corleone
ma la giacca dell'emigrante da quel momento
divenne un gessato coi bottoni d'argento.
Il monumento, il monumento,
per il padrino dell'omertà.
E quando il paese mi vide tornare arricchito
con i dollari in tasca e il brillocco sul dito
fu un boato di felicità
"è ritornato lo zio Pascià!"
sventolarono il tricolore dell'unità.
Ed avevano tutti la faccia di quel tricolore:
verde di rabbia, bianca di fame e rossa d'amore
ed avevano i figli lontano
a Torino, a Treviso, a Milano
per sentirli chiamare terroni da un altro italiano.
Ma le campane dei sopravvissuti
non suonarono più per quelli caduti
e quel pezzo di terra sul mare cullato dal vento,
nascondeva un milione di martiri sotto il cemento.
Il monumento, il monumento, per quei caduti non ci sarà,
e nel cemento le famiglie dell'obbedienza,
seppellirono pure la zappa e la lenza,
e nella piazza dell'Unità,
tra due politici quaquaraquà
fecero il grande monumento alla Libertà.
Ma sulla base del marmo eretto
c'era una frase scritta in dialetto:
quanne siente ca figlieto chiagne pecché vo magnà
mo dalle 'nu piezzo e 'sta libertà.