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giovedì 27 ottobre 2011

ENPAM - Intervista a Oliveti: “Ecco come riformeremo l'ente di previdenza dei medici italiani” (...con uno studio di Mauro Miserendino pubblicato dal Corriere Medico)

26 ottobre 2011

Il vicepresidente della Fondazione Enpam anticipa in questa intervista i temi che saranno in discussione agli Stati Generali dell’Enpam, convocati per il 4 e 5 novembre prossimi. Obiettivo: riformare regole previdenziali, governance del patrimonio e statuto.

26 OTT - L’Enpam è solido. Lo ripetono senza stancarsi Eolo Parodi, Alberto Oliveti e tutti i vertici dell’Ente di previdenza di medici e odontoiatri, trascinati alla ribalta nei mesi scorsi da una denuncia di cinque presidenti Omceo che chiedeva chiarimenti sui bilanci del passato.
A dimostrare la tenuta dell’Enpam ci sono proprio i bilanci: 11 miliardi e mezzo di patrimonio e oltre un miliardo di attivo nel 2010. Malgrado questi numeri però occorre una ristrutturazione complessiva dell’Ente, che riguardi le regole delle pensioni, la gestione del patrimonio e lo stesso Statuto della Fondazione.
Per discuterne sono già stati realizzati molti incontri un po’ in tutta Italia, organizzati dagli Ordini provinciali o a margine dei congressi sindacali. E se ne discuterà ancora agli Stati Generali dell’Enpam, un incontro aperto a tutti i rappresentanti della professione medica e odontoiatrica che si terrà a Roma il 4 e 5 novembre prossimi.
In questa intervista a Quotidiano Sanità, il vicepresidente vicario dell’Enpam Alberto Oliveti anticipa i contenuti delle riforme in discussione, avvertendo i medici che hanno la sua età: “La riforma è necessaria, non possiamo rompere la catena intergenerazionale e lasciare ‘il buffo al bar’ ai giovani”.

Dottor Oliveti, chi avete invitato agli Stati Generali?

Vogliamo aprire il confronto sulle tre grandi riforme a cui stiamo lavorando: la riforma dei regolamenti della previdenza, la riforma della governance del patrimonio, la riforma dello Statuto dell’Enpam. Per questo abbiamo invitato tutti i portatori di interessi, sia interni alla professione che qualche illustre esterno. Mario Monti, Giuliano Amato e Massimo Angrisani ci offriranno le loro lezioni magistrali, sulle quali poi ognuno sarà libero di dare il suo parere.

Analizziamo una alla volta le tre riforme e gli orientamenti su cui vi state muovendo per ciascuna. Cosa vuol dire e come si realizza la riforma della governance del patrimonio?

Su questo abbiamo già avviato il percorso, elaborando un nuovo modello di governance sulla base delle nostre valutazioni e dei punti fermi che ci sono stati forniti dal lavoro scientifico realizzato dal professor Mario Monti, international advisor di Goldman Sachs, che ha esaminato 82 Casse di 12 diversi Paesi, a noi analoghe o per dimensioni o per finalità, fornendoci i riferimenti per una corretta governance. Noi abbiamo esaminato le sue indicazioni, le abbiamo fatte nostre e, come CdA, abbiamo elaborato un modello di governance del sistema. Sulla base di questo adesso stiamo cominciando a riempire le caselle, individuando i riferimenti personali e societari per indicare chi fa cosa.

Insomma, state decidendo chi gestirà il patrimonio mobiliare e immobiliare?

Non vogliamo più distinguere tra mobiliare e immobiliare: il modello di governance vale per tutto il patrimonio, nei suoi vari assett.
In passato c’è stata questa grossa sbornia mondiale per prodotti complessi, opachi, strutturati che, secondo la finalità dichiarata, dovevano permettere di avere una forte diversificazione comprando un’unica scatola, ma che invece hanno dimostrato di avere grossi elementi di instabilità e inaffidabilità. Come sappiamo bene, è stato un fatto che ha toccato tutti i Paesi, e da noi anche molte istituzioni come i Comuni e le Provincie, mandando profondamente in crisi tutto il sistema di rating internazionale.
Imparando da questo, da adesso in poi vogliamo utilizzare un modello che si basi su procedure di comportamento, quindi processi ottimali in serie, perché questo permette di ridurre i rischi, riducendo la discrezionalità nelle scelte e l’errore umano.

Qualcosa che somiglia al Risk management in sanità?

La gestione del rischio viene dopo, la governance parte a monte delle scelte: una corretta asset allocation strategica, una corretta definizione delle strategie, il collegamento dinamico con le diverse tattiche necessarie a realizzare quelle strategie, la valutazione costante del rischio.
Poi vogliamo fare un controllo della gestione del rischio, separato, che valuti i risultati ex post, cioè i risultati della scelta operata.
Definito il processo, definita la separazione tra decisori e controllori e la separazione tra chi controlla la parte ex ante e chi controlla la parte ex post, poi dovremmo definire una corretta embricazione delle responsabilità. Le responsabilità politiche sono del CdA, ma si tratta di persone che hanno matrici culturali mediche e odontoiatriche che quindi devono essere messe nelle condizioni di fare scelte consapevoli e informate. Consapevolezza e informazione che gli devono essere date dai diversi livelli tecnici preposti, E tutto questo deve essere collegato ai sistemi di controllo interni ed esterni. Una volta definito questo complesso, dobbiamo identificare a chi affidare ciascun ruolo.

Niente più investimenti ad alto rischio?

È dimostrato che ciò che più vantaggioso nell’investire un patrimonio è la corretta diversificazione delle classi di attività. Più che prendere il meglio all’interno di una singola classe, conta definire bene e quotare bene le singoli classi di attività. Noi ci stiamo orientando a 16 classi di attività, di cui 4 ad area di rischio immobiliare e 12 ad area di rischio finanziario. All’interno di ognuna di queste classi potremo esercitare scelte: se interessarcene direttamente, se affidarle a gestori.

Passiamo alla riforma dello Statuto. Come state lavorando?

L’esigenza di partenza è quella di rafforzare la rappresentatività, mantenendo la legittima e doverosa rappresentatività degli Ordini professionali, ma anche trovando il modo di rappresentare il contribuente, attraverso le forme associative e sindacali.
Per capire gli orientamenti, una commissione paritetica Fnomceo – Enpam ha elaborato un questionario sottoposto a tutte le rappresentanze ordinistiche e sindacali, le cui risposte saranno poi valutate dal Consiglio nazionale per arrivare alla stesura di una bozza del nuovo Statuto, da discutere ulteriormente.

Quindi cambieranno le composizioni degli organismi dirigenti dell’Enpam?

Il questionario è stato concepito a cascata, da una scelta ne discende un’altra e così via fino a definire le forme della rappresentanza.
Innanzi tutto occorre rispondere a due domande fondamentali. È ancora attuale l’originaria mission istitutiva della Fondazione, ovvero dare previdenza e assistenza ai medici e agli odontoiatri, o dobbiamo interessarci anche di altre categorie e figure professionali sanitarie? Ed è giusto che l’Enpam si occupi solo alla previdenza obbligatoria o piuttosto non dovrebbe offrire anche previdenza complementare e integrativa, in analogia con quello che ha fatto lo Stato anni fa? A seconda di come si risponde a queste domande, si può poi ragionare se sia corretta l’attuale composizione per Fondi. Dobbiamo fare un Fondo unico o magari ne dobbiamo fare venti? Di conseguenza occorre stabilire con quali criteri si rappresentano i singoli iscritti al fondo o ai fondi. Attualmente abbiamo un Fondo generale quota A cui tutti sono iscritti, che ha la sua rappresentanza attraverso gli Ordini nel Consiglio nazionale, mentre i Fondi speciale sono rappresentati dalle Consulte, che hanno appunto un ruolo consultivo. Forse è il caso invece di avere un unico organo base in cui siano rappresentati gli Ordini e le categorie con uguale potere deliberativo.

Passiamo al tema più sensibile. Perché è necessaria la riforma della previdenza Enpam?

Sgombriamo il campo da equivoci: non c’è nessun buco di bilancio e non facciamo la riforma per tappare questo fantomatico buco.
La riforma va fatta piuttosto per corrispondere ai cambiamenti demografici e alle nuove regole fissate dalla Finanziaria del 2007. Per queste ragioni, infatti, i ministeri vigilanti ci hanno chiesto di intervenire.

Ma se siete un Ente privato, perché i ministeri possono intervenire sulla vostra gestione?

Noi siamo un’istituzione privata, che di privato ha il mezzo e lo strumento per raggiungere un fine pubblico, che è quello di dare previdenza e assistenza a medici e odontoiatri. Per questo siamo vigilati dallo Stato, che pone come riferimento due criteri di equilibrio. Il primo è che per ogni euro pagato di pensione ci siano almeno 5 euro accantonati. Una condizione che abbiamo sempre soddisfatto, anche se ci spinge da tempo a protestare: se siamo obbligati ad accantonare il patrimonio come garanzia della previdenza, perché ci viene tassato?
Il secondo criterio è quello che riferito ai bilanci tecnici attuariali, ovvero alla proiezione nel tempo dei bilanci, che fino al 2007 richiedeva un equilibrio a 15 anni. Noi abbiamo sempre rispettato anche questo criterio, ma la Finanziaria 2007 ha spostato l’equilibrio a 30 anni e così, alla prima scansione triennale di controlli sui bilanci attuariali, è venuto fuori ciò che già sapevamo, ovvero che l’equilibrio a 30 anni non ce l’abbiamo.
Dunque bisogna fare la riforma, che peraltro era anche nel nostro programma elettorale.

Cosa cambierà?

Partiamo da quello che non vogliamo fare: non vogliamo toccare le pensioni in atto, non vogliamo toccare il valore dei contributi già incassati, non vogliamo decidere quale deve essere la data del pensionamento di ogni singolo contribuente.
L’obiettivo è soddisfare i nuovi criteri di equilibrio a 30 anni, ma soprattutto mantenere la catena intergenerazionale, cercando di fare in modo che questa riforma non si scarichi sui giovani.

Ma quali saranno gli interventi?

Innanzi tutto valorizzeremo meno, ma sempre più di quanto valorizza il pubblico, i contributi incassati d’ora in poi.

Quanto meno?

Oggi per ogni mille euro versati garantiamo dai 90 ai 120 euro per ogni anno di pensione, mentre il pubblico ne garantisce circa 54, malgrado sia l’Inps che l’Inpdap ripianino a pie’ di lista anche con le entrate fiscali, mentre noi, come ho detto prima, sul patrimonio le tasse le paghiamo.

Oggi, con la crescita della speranza di vita, non possiamo più garantire valorizzazioni così alte, ma siamo sicuri di poter dare ai medici molto più di quanto dà la previdenza pubblica.

Accanto a una riduzione delle valorizzazioni, avete già annunciato anche lo spostamento dell’età di pensione da 65 a 68 anni.

Faccio sempre l’esempio dell’elastico a due colori, uno che simboleggia la vita attiva e l’altro la vita in pensione. Se la vita si allunga complessivamente, l’elastico simbolico si tende e si sposta anche il punto in cui si passa da un colore all’altro.

Sposteremo quindi l’età per la pensione di vecchiaia, ma lo faremo gradualmente, aumentando di sei mesi l’anno a cominciare dal 2013, in modo che nel 2018 si arrivi a 68 anni. Resta la possibilità di andare in pensione anche prima, a partire dai 58 anni, ma le riduzioni per chi va via prima saranno maggiorate e terranno conto, in maniera definita secondo criteri attuariali, dell’aspettativa di vita.

A lamentarsi di più sono proprio i medici che hanno all’incirca la sua età, nati intorno alla metà degli anni ’50. Hanno ragione?

In un certo senso sì, perché hanno pagato di qua e di là, ovvero hanno pagato le pensioni, alte, della generazione precedente e ora, quando sta per toccare a loro, le pensioni si riducono. Ma l’alternativa qual è? Non si può toccare dove è stato dato di più, perché c’è il problema dei diritti acquisiti, e non si può lasciare “il buffo al bar” ai giovani. Anche perché se lasciamo tutto il peso alle generazioni che verranno, le spingeremo a sottrarsi all’obbligatorietà dell’iscrizione all’Ente e quindi salterà la catena intergenerazionale. Al di là delle reazioni emotive, i colleghi devono capire che la riforma è necessaria: se facciamo nuove regole “furbe” lasciamo il conto al bar e salta la catena generazionale, se non facciamo niente ci commissariano. E se ci commissaria il sistema pubblico la pensione che ci aspettiamo sarà ridotta almeno di un terzo. L’ottimo è nemico del buono.

Eva Antoniotti


27 ottobre 2011