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mercoledì 2 novembre 2011

l'aggregazione forzata in Gran Bretagna non paga (tre articoli di Francesco Carelli - Professor Family Medicine University of Milan, EURACT Council Director of Communications)

L'aggregazione forzata in Gran Bretagna non paga

     La situazione della medicina generale in Gran Bretagna contiene elementi di parallelismo con quanto avviene in Italia circa intese o spinte che istituiscano aggregazioni funzionali territoriali e unità complesse di cure primarie. Questo perchè il Governo di Gordon Brown aveva affidato al sottosegretario Lord Dazi di elaborare un piano per ridefinire la medicina di famiglia in macroaggregazioni, definito sui giornali “Policlinics “.
     Due passaggi del dibattito in corso Oltremanica appaiono particolarmente duri e significativi:

- Il rapporto del servizio sanitario pubblico e “universale” con una professione smembrata in sottogruppi (Primary Care Trusts-PCT, assimilabili alle nostre aggregazioni o équipes, ma con personalità giuridica) che si presentino come interlocutori più ricorrenti, a livello locale, del sindacato;
- La presenza di delegati/referenti di tali sottogruppi che vestono due abiti in conflitto di interesse tra loro: medici convenzionati e portavoce delle richieste del distretto.

In Gran Bretagna, dove la marcia verso l’aziendalizzazione della medicina generale è partita prima, oggi c’è anche preoccupazione per lo sviluppo di centri di salute – spesso edificati con operazioni congiunte tra capitali pubblici e privati – dove operano i medici di famiglia convenzionati con il National Health Service. Queste “case della salute”, oltre a sorgere in aree dove magari non ce n’era bisogno, richiedono investimenti extra, sottratti a una miglior dotazione del medico inglese. L’allarme viene da un rapporto della Commissione Sanità della Camera dei Comuni, appoggiato da analoga analisi critica del Royal College of General Practitioners - la società scientifica dei medici di medicina generale britannici-, che si sofferma sulle carenze delle ultime riforme delle cure primarie. Due i nodi-chiave.

1) I Primary care trusts (PCT), ovvero le aggregazioni territoriali con personalità giuridica previste dalle ultime convenzioni, non funzionano quasi mai bene. Ancora adesso, dopo anni di prova, non sono in grado di fare fronte ai compiti richiesti dalla riforma delle cure primarie; è spesso sentita come scadente dai medici la qualità del management, in genere gestito da figure amministrative (ma non è la laurea in medicina il punto). In secondo luogo, non sono ancora stati bene compresi i costi che a regime comporteranno le riforme sul territorio, che si susseguono da alcuni anni. Né il Ministero della Salute britannico né le altre autorità sanitarie londinesi hanno azzardato cifre ufficiali sui risparmi attesi. Infine, nessuno – rileva la commissione parlamentare guidata da Steve Field – sembra accorgersi che dove il PCT - votato a migliorare la qualità dell’assistenza - tarda a realizzarsi, si rischia di sviluppare una sistema sanitario differente (non necessariamente a velocità “ridotta” ma pur sempre vettore di disparità).
2) Gli Health Centres, ovvero le case della salute britanniche, guidate dai medici di famiglia-general practitioner, non convincono. Gli esperti della commissione, così come anche la British Medical Association ( il fortissimo e unitario sindacato dei medici ) non sono convinti che dovrebbe esservene uno per ogni aggregazione territoriale/PCT. E raccomandano che l’istituzione di queste “case” sia discussa e decisa volta per volta, a livello locale.

     A questo punto molti esponenti della medicina generale britannica iniziano a tirare le somme dopo l’illusione del contratto del 2004, con il quale il governo Blair destinò un investimento mai visto prima per innalzare la qualità organizzativa e clinica del servizio. Le successive leggi, quasi mai precedute da progetti-pilota né “sposate” dalla British Medical Association, in realtà sembrano premiare solo le aree dove ci sono pochi medici o ci sono davvero molti malati cronici. In quei contesti, aggregazione territoriale potrebbe voler dire più qualità, anche nella retribuzione del medico. Nelle altre aree si profilano dubbi forti e crescenti: aggregare generalisti, farmacisti ed infermieri non vuol dire farli lavorare meglio e nemmeno farli iniziare a lavorare “insieme”. Può invece voler dire speculare per costruire case della salute che non offrono i servizi richiesti, in particolare nelle contee dove non si tenessero in debito conto le richieste delle rappresentanze della popolazione.
     E’ difficile prevedere se le regioni italiane, vere interlocutrici della classe medica, nei prossimi mesi sapranno trarre insegnamenti concreti da questo dibattito e da queste reazioni, solo in apparenza lontane, ma in realtà molto parallele e come quasi sempre in anticipo in Gtan Bretagna e possibile esempio di errori o problematuche da non seguire e già bocciate o modificate là dove erano state proposte o imposte e poi verificate o bloccate.

Francesco Carelli

Membro Royal College of GP, membro del General Medical Council
e Ambassor of International Association of Healh Care Professionals

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Mega-aggregation by contract are against doctors,
patients and an offer of quality
    
     In Italy, Government is trying to convince Family Doctors to sign new Contract for near zero euros, many new duties and also considering the birth of new mega-aggregations of professionals and practices covering large extension of population. At the same time, Government considers to shift many services from secondary to primary care.
     The reaction from GPs' associations is cautious or negative seeing this as a disruption of trusts' power in microgroups, as a problem for patients obliged to wailk or travel to distant and big bildings where they will get long waiting lists, confusions of different people and doctors, duplication of exams. The Government's indication is similar to the proposal of “ Polyclinics “ just now in United Kingdom.
     Claire L Morgan and Hendrick J Beerstecker (1) indicate that there is not evidence to suggest that very large practices could provide or are providing more volume or diversity than the current average English practice.
     Therefore, a policy to create larger practices may not automatically lead to a transfer of work from secondary to primary care. This is because there is not an upper treshold above which practice size creates spare capacity and expertise to deliver a significantly greater volume of more diversity of extra services.
     These data are very important and to be considered when we see, at the moment, plural inputs by National Governments, for new “ governances “ for Family Medicine (2), coming bottom-down, not agreed by primary care (3), by secondary care, by patients themselves (data for disagreement by Italian national statistic questionnaire where the GP-patient relationship is still seen as the “ must “) but dangerously pushed by the politicians because of their supposed economic interests or others not considering what Family Medicine was, is and will be, anyway (see at European Definition, please)

Francesco Carelli

Professor Family Medicine University of Milan
EURACT Council Director of Communications
Email : carfra@tin.it

REFERENCES

1. CL Morgan, HJ Beerstecker. Practice size and service provision in primary care: an observational study. Br.J.Gen.Pract., 2009, 59: 186-190.
2. Department of Health. Implementing care closer to home: convenient quality care for patients. , Part 1: Introduction and overview.
3. Www.unionemedici.it. Reaction to pre-aggreement on a new contract with mega-aggregations. 2009

Published on British Journal General Practitioners (RCGP), 2009 Jun;59/563:452. PMID: 19520036 (PubMed).