"Dal sacro Monte Kailash, nel Transhimalaya, oltre la linea delle piogge, discesi all'estremo del Capo Comorin, dove le acque di tre antichi mari si congiungono. Ed oggi so che in ambo gli estremi vi sono templi". (Miguel Serrano)

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giovedì 26 gennaio 2012

EDITORIALE 26 gennaio 2012: un cadavere si aggira per l'Italia

     Un fantasma si aggira per l’Europa scrisse il vecchio (in tutti i sensi) Carletto Marx di cui ormai si ricorda solo qualche giornalista di RAI3 lautamente pagato ed uno sparuto gruppo di militanti rossi (o sedicenti tali), affacciati mestamente sulla terza età, che a 18 anni si occuparono degli sproloqui di Herbert Marcuse nonché delle prodezze di Daniel Cohn-Bendit e di Rudi Dutschke e che adesso sono stati fregati da Monti mentre se ne stavano andando tranquillamente - tomi tomi, cacchi cacchi, avrebbe detto Totò - da buoni “borghesi”, in pensione ovviamente con il cosiddetto metodo retributivo.
     In realtà non uno ma diversi fantasmi si aggirano per l’Europa, noi però non vogliamo qui parlare di loro ma limitarci a dedicare la nostra attenzione a un cadavere che si aggira per l’Italia e che in qualche modo ci riguarda.
     Per l’esattezza non si tratta di un cadavere ma di una carogna, di una grossa carogna simile ad un dinosauro travolto da una imprevista glaciazione o ad un cetaceo annientato dall’improvviso ritirarsi degli oceani.
     La carogna a cui facciamo riferimento è quella del sindacalismo istituzionale che in questi giorni nel nostro paese è schiattato in pace senza che neppure tutti se ne siano accorti.
     Le proteste del gruppo dei 3+1 (CGIL, CISL, UIL + UGL che mette insieme il diavolo e l’acqua santa cioè gli ex comunisti di Luciano Lama e gli ex neofascisti di Gianni Roberti) in merito alla riforma delle pensioni hanno sortito gli stessi effetti di un richiamo del nonno mezzo rincoglionito al resto della famiglia, che finge di ascoltarlo, indulgente e distratta, finché qualcuno non se lo prende sotto il braccio per metterlo a letto, munito di pannolone regolamentare.
     Come se questo non bastasse, poi, i metalmeccanici della FIAT, che non sono né mafiosi né camorristi e che fanno turni di otto ore alla catena di montaggio risultando essere tra quei pochi italiani che lavorano veramente e non fanno solo finta di lavorare, se lo sono preso nelle terga, tornando indietro di quarant'anni, grazie ad un signore svizzero in maglia nera d’ordinanza che se ne frega dell’Italia e dei suoi abitanti e che, non essendo italiano, è fornito di sufficiente onestà intellettuale per ricordarcelo impietosamente ogni volta che gliene offrono l’occasione. In altre epoche lo avrebbero gambizzato all'istante mentre adesso devono limitarsi a spettegolare sulle poche tasse che paga nel florido paese degli orologi a cucù.
     Ai cortei di decine e centinaia di migliaia di operai (e studenti “uniti nella lotta”) - che marciavano compatti trenta o quaranta anni fa dietro le loro baldanzose bandiere rosse che annunciavano trionfanti il sole dell’avvenire e la definitiva vittoria del “proletariato” - si sono sostituiti sparuti gruppi di manifestanti di mezza età che non possono neppure più togliersi la soddisfazione di picchettare gli ingressi delle fabbriche per “suonarle” di santa ragione ai crumiri.
     Certe cose ormai appartengono al passato, ad un lontano passato.
    Ma allora chi sono i nuovi "soggetti rivoluzionari", i potenti "sovversivi" della seconda decade del primo secolo del terzo millennio? Ecco farsi avanti pescatori, forconisti, camionisti, tassinari, benzinari e tante altre figure “incazzate” e burine che, diciamolo pure, fino all’altro ieri contavano, più o meno, quanto il due di briscola. A questi "descamisados" si affiancano, con ruolo di "truppe ausiliarie" - in una sorta di improbabile cocktail capace di mettere insieme whisky, tequila e bitter campari - figure più compassate, notoriamente sull'orlo della povertà nonché perseguitate da sempre, quali notai, farmacisti ed avvocati. 
     Questi "descamisados incazzati"  sono stati capaci, fottendosene sovranamente delle Leggi dello Stato e delle varie autoregolamentazioni del diritto di sciopero, di paralizzare in pochi giorni l’Italia occupando d’imperio, oltre che i caselli autostradali, anche le prime pagine di giornali e telegiornali, rendendo difficile la nostra vita che all’improvviso ci troviamo a vivere senza carburante (personalmente sono a secco da tre giorni) per l’auto e senza insalata e broccoletti.
     Dietro di loro, e profittando di loro, avanzano in maniera preoccupante a ranghi sparsi soggetti politici pittoreschi, che vanno dai Grillini a Forza Nuova, e personaggi sgraditi non del tutto estranei a fenomeni malavitosi organizzati, tipici ma non esclusivi del Sud della penisola, quasi ad annunciare, in una babelica confusione, la nuova Italia che potrebbe aspettarci e che apparirebbe, in tale deprimente contesto, più lontana dall'Europa che non dal Catai di Marco Polo.
     Siamo durati, storto o morto, centocinquant'anni ma sul centocinquantunesimo sarebbe forse temerario scommettere.
     Non a caso la Segretaria generale della CGIL, donna di grande intelligenza e conoscenza del mondo, si è dissociata da queste forme di protesta “selvaggia” perché ha saputo acutamente cogliere l’aspetto non rivoluzionario (non “progressivo” avrebbe detto Gramsci) di una protesta venata di sanfedismo e di corporativismo oscurantista.
     La reazione, del resto, non farebbe altro che peggiorare il classico buco che ci si ostina a dotare di una toppa: il buon borghese, infatti, invoca l’immediato intervento del questurino e del giudice (suoi alleati naturali almeno fino a che gli convengono) sulla scorta, peraltro, del Governo che da qualche giorno minaccia a chiacchiere sanzioni degne delle grida di manzoniana memoria ma poi, nei fatti, se la fa addosso e finisce per ragliare molto e combinare poco.

     E noi medici?

     Noi ci troviamo nella situazione di chi è abituato da troppo tempo a prenderselo in quel posto: tutti i governi che si sono succeduti almeno negli ultimi venti anni ci hanno addestrato a questa dolorosa pratica anzi pare che alcuni di noi abbiano cominciato addirittura a prenderci gusto.
     Esempio classico di ciò è il comportamento di qualche sindacato che non vede l’ora, appena può, di “andare incontro” alla Parte pubblica con una psicologia degna della peggiore “Sindrome di Stoccolma” che si possa immaginare: purtroppo molti colleghi continuano imperterriti ad andargli dietro a loro volta.
     Si dice comunemente che quando il gioco si fa duro i duri incominciano a giocare: siamo di fronte a tempi decisivi ed è necessario che il nostro Sindacato cresca, si rafforzi e sappia svolgere il suo ruolo.
     Speriamo che il 2012 ci permetta di sviluppare “discorsi” e, soprattutto, iniziative, fino ad oggi purtroppo solo abbozzate, uscendo da una routine seria ed onesta ma purtroppo anche inadeguata, capaci di proiettarci verso l’esterno in maniera efficace e rappresentativa.
     Speriamo che il 2012, anno in cui siamo chiamati al difficile compito del rinnovo dell’organigramma nazionale, veda una compattezza del Sindacato capace di mettere alla porta i soliti “giochetti”, indegni di una classe dirigente sindacale che si rispetti, e di rigettare certi personalismi meschini, degni al massimo di qualche ridicola "checca paesana", ritrovando quello spirito autentico fatto di dignità e di sacrificio con il quale Roberto Anzalone fondò lo SNAMI.
     Speriamo, in una parola, che si sappia fare lezione del passato evitando di ripetere vecchi errori, perché errare è umano ma perseverare è diabolico.
     Noi ci rifiuteremo, tematicamente e per principio, di partecipare a qualsiasi contrapposizione interna ritenendo che un sindacato degno di tal nome ha e debba avere un solo avversario, che si chiama Parte pubblica, ed un solo compito che si chiama rappresentanza della categoria.
     Il resto, passatemi se potete la citazione shakespeariana, “il resto è silenzio” ed è bene che tale resti.